giovedì 3 aprile 2014
Tu sei il male, io sono la cura
Pala Banca di Piacenza, sono seduto al mio posticino da 20 minuti buoni e ne è passata una decina scarsa da quando la partita è iniziata. Son rimasto a inviare un giro di sms lavorativi nella primissima parte di gara, quella ancora in equilibrio, e ho iniziato a seguire con attenzione in un momento in cui Piacenza aveva già iniziato a dilagare.
Piacenza è forte ma forte, inoltre nel quadratone rosa presidiato da Marcon e relative sgherre non avevo ancora assistito a topiche clamorose, di conseguenza non ho accennato a mezza reazione.
All'ennesimo buco in terra di Bosetti, parte un sorrisone nella mia direzione da parte di una vispa sciura sulla cinquantina, a due seggiolini di distanza dal mio.
"Mi sa che la vedo dura per voi stasera, eeeeeh", prosegue. La guardo perplesso, con la stessa perplessità con cui si osserva un numero banalotto di magia senza capirne il trucco.
"...Perchè lei è di Busto, no?".
Guardo la signora, guardo il campo; guardo il mio abbigliamento. Non ho segni distintivi, nè sciarpe o altro; non indosso neanche il costume da Bumbasina (quello solo nell'intimità, porcellini). Sono perfettamente integrato tra il pubblico.
Non ho aperto bocca da quando sono entrato, quindi escluderei questioni sull'accento.
Non ho fatto una singola smorfia nonostante gli eventi sul taraflex non proprio favorevoli. Fermo, fermo completamente.
La domanda sorge spontanea, sempre a sopracciglio mezzo alzato: "Signora, come fa a saperlo?"
"Eeeeh, un po' perchè non sta esultando..."
"Ah, ahahah, è vero: ovvio!" è la mia risposta, quasi in imbarazzo per non averci pensato subito, anche se sarei comunque potuto passare inosservato perchè gli spalti del palazzetto sponda piacentina sembravano la notte dei morti viventi.
"...E un po' perchè, dai, si vede".
Adesso la donna ha davvero tutta la mia attenzione. In che senso "si vede"? La richiesta non è sonora, diventa esplicita nell'attimo in cui aggrotto la fronte.
"Eh, perchè ormai Busto è una bella realtà ed è in giro da parecchio..."
Sì, vero, se ne sono viste di squadre passare sotto i ponti.
"...e oltre alle vittorie ha avuto anche periodi negativi..."
No. Nono.
"...e quindi mi sa che lei ne ha viste talmente tante..."
Nono, signora. Noooo no no. Non lo dica.
"...da essere in grado di sapersi controllare sia quando va molto bene che quando va molto male..."
Non vada avanti. NON-LO-DICA.
"...insomma, mi sembra VACCINATO nei confronti di certe cose".
L'ha detto.
Insomma: il sunto è che più esperienza sportive vivi, e meno ne senti dentro. Davvero? Quindi dalle parti di Bergamo dovrebbero già essere tutti catatonici. Farsi considerare VACCINATI davanti a una partita, e quindi essere "accusati" di lasciarsi scivolare addosso certe emozioni, ecco, credo sia il più brutto insulto che si possa ricevere. Dopo quelli sulla mamma, la sorella e susseguenti parti familiari con cromosoma XX, ma comunque assai brutto.
Va bene, facciamo allora la parte di quello VACCINATO. Sono rimasto apposta molto, troppo controllato, per tutto il resto del set.
La bestemmia che è uscita sul nostro errore in attacco che ha deciso l'1-0 piacentino (non sto neanche a dirvi chi l'ha fatto, sappiate solo che dorme al centro), invece, è stata molto poco controllata. E soprattutto spontanea.
Alla signora, beh, si è ombrato il sorriso, e non credo per questioni di credenze religiose.
Così impara a dare del VACCINATO a un ometto piccolo piccolo capace di alzarsi in piedi e urlare lo "yama let's go" per celebrare un 1-0 contro Forlì con la stessa intensità di quanto lo facesse 2 anni prima in finale scudetto!
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