Probabilmente il miglior gesto tecnico della Uyba in un intero pomeriggio. (credit: www.volleybusto.com) |
Fra gli errori ci sono quelli che puzzano di fogna, e quelli che odorano di bucato.
-Cesare Pavese
Oggi, signori miei, parliamo di una macchietta piccola piccola all'interno di un testo; mi riferisco all'apostrofo, sempre meno considerato dai giovini che maltrattano smartphone e lingua italiana.
Appunto, una macchietta: è un segno di punteggiatura meno considerato della sorella virgola e sovrastato dal fretello minore punto (per non parlare della lobby ortografica generata da questi ultimi due quando si mettono in affari), grosso all'incirca quanto tre schifosi pixel. Una gocciolina in mezzo a tanti fiumi di parole che manco i Jalisse al top della forma.
Quindi, conta zero? Non proprio.
Guardate già quanta differenza fa un apostrofo all'interno di questa frase: se avessi scritto "un'apostrofo", infatti, sareste stati autorizzati a dotarvi di torce per dare fuoco a questo blog (salvo poi accorgervi che in realtà avreste incendiato il vostro monitor, ma questi sono dettagli). E ricordate che qualcuno al di là delle Alpi, in maniera meno prosaica, lo vestì color confetto e lo paragonò a un bacio tra le parole "t'amo". Mica cotiche, ahò.
Va beh, ma qui di norma si parla d'altro. Quindi nello sport, e soprattutto nel volley, quanto conta un apostrofo, e come si può commisurare alla disciplina?
L'apostrofo è paragonabile a un singolo gesto tecnico, o semplicemente a un attimo; è la frazione di secondo di indecisione in ricezione, è un fischio arbitrale, è la rotazione del polso che trasforma una diagonale in una parallela. E' il momento che, preso singolarmente, spessissimo non determina nulla, ma a volte è la chiave di tutto. Dove saremmo, o meglio come saremmo, se uno di quei tre "apostrofi" di Cruz fosse andato a segno in una certa finale? O se Starovic avesse messo a terra un apostrofo in più, in un giorno tra inverno e primavera nella lontana Baku? O ancora, a star qui a menzionare il Cretaceo, se a Soliera nel 2001 un apostrofo fosse andato fuori posto?
Tutto 'sto popò di ragionamento che non calza una beata mazza con la singola partita di domenica, dove neanche la scattosità di Sportube è riuscita a nascondere lo sciattume delle mie rosse beniamine: mai in partita se non per mezzo set, mai reattive, mai impegnate a tentare di recuperare un passivo pesantino; addirittura chi ha fatto la migliore impressione è stata Perry, già questo dovrebbe far evitare approfondimenti ai deboli di cuore (o di stomaco, nel caso specifico). Praticamente tre settimane di lavoro, per cesellare il morale e tenere aperta una serie di vittorie promettente, buttate nel cesso senza neanche la grazia di tirare lo sciacquone.
E l'apostrofo, quindi? Eh, l'apostrofo fa la differenza, e ne fa pure tanta.
L'imperativo che ogni farfalla dovrebbe avere stampigliato nella capoccia, soprattutto in periodi - che a Busto diventano spesso ere geologiche - dove risalire la china è doveroso, è uno soltanto: "LOTTO". Si scende in campo con la garra e non si molla fino alla fine, succeda quel che succeda.
Sapete meglio di me che la realtà è dipinta in altre tinte. Un segno di punteggiatura fuori posto, e oplà, ecco che il grido di guerra sopra citato diventa "L'OTTO", ovvero il numerino che identifica la nostra attuale posizione in classifica.
Se la questione fosse solo grammaticale, non bisognerebbe neanche stare a preoccuparsi più di tanto; il problemino è che avremmo iniziato il campionato tra i favori del pronostico, e a oggi ci si ritrova a un passo dal giro di boa con le migliori a doppiarci nel punteggio e con la certezza di non avere neanche il fattore campo nei quarti di finale di coppa Italia. Qualcuno preferirà aspettare il miracolo a braccia conserte (o a voce spianata, giusto per rievocare recenti attriti), ma temo che un treno del genere non passi per due anni di fila.
Mai 'na gioia, neanche a Natale...
Anzi, no: una gioia l'ho provata, dai. Questo era il titolo di Varesenews.it per l'articolo di introduzione a Modena-Busto:
Ecco, ho avuto un attacco di riso nel pensare che, sotto forma di sindone sulla guancia, alla fine la nostra bella cinquina ce la siamo pure portata a casa! Riso amaro, sia chiaro: ma in questo periodo di crisi non si butta via nulla...
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