lunedì 18 novembre 2013

My head is a jungle



Una prestazione bella però brutta, in una partita che si divide in due, per un giudizio univoco ma anche no, a fronte di un'eliminazione che poi tanto ci ripescano.

E che minchia di casino, scusate il francesismo.

Ieri mi è venuto da ripensare a tutto il proselitismo che da anni attuo verso i miei amici tigrotti o presunti tali, per invogliarli a seguire "uno sport bello, senza esasperazioni, e soprattutto sano!". E meno male che in tanti non mi hanno neanche cagato di striscio, perché ci hanno guadagnato in salute: ormai è una certezza, seguire questa squadra fa diventare bipolari.

Per quanto sia una bestemmia per i puristi, analizzare la partita tabellino alla mano è una gioia per gli occhi. C'è però da dire che tutto quel che si legge su carta si è visto in campo: attacco sopra al 44%, pochissimi errori per una partita ai 5 set, addirittura una somma di muri (16) che forse non si vedeva dai tempi di Pertini presidente. Una palese percezione di superiorità anche nei tratti di gara in cui le avversarie comandavano il punteggio. L'unico fondamentale fuori statistiche, ovvero la difesa, è risultato insolitamente sotto tono ma di sicuro non ha affossato le farfalle; anche l'aspetto mentale, pur tra alti (Arrighetti e Supermamma Ortolani) e bassi, è parso assai meno ondivago delle uscite precedenti.
Un match gradevole in cui la UYBA è stata in grado di tenere a bada la Pomì, che comunque, a differenza di otto giorni prima, si è dimostrata decisamente meno Lipicer-dipendente: l'ascesa di Sirressi e di Gennari, tornata a mostrare ottime cose in A1 (e meno male, perchè serve al campionato), ha reso molto più combattuta una sfida in cui Busto ha prevalso in maniera continuativa su parecchi fronti. Anche il secondo set vinto dalle ospiti è risultato funzionale al "disegno", in quanto 1)Casalmaggiore se l'è meritato soprattutto nelle ultime battute, e 2)avrebbe dovuto rendere più epico il finale, con un 3-1 già scritto e un golden set all'ultimo sangue.


Tutto buono (o quasi), tutto giusto (o quasi). Fino al 24-21 del quarto.
Da qui in poi, possiamo buttarci di testa in una vagonata di discussioni assortite meglio di un sacchetto di cioccolatini Lindt: sulla parte difensiva che non ha alzato l'asticella quanto quella di Casalmaggiore, su Wolosz che - nonostante tutto - almeno un paio di palloni avrebbe potuto darli al centro, su Buijs unica opzione seria in attacco, su Ortolani arrivata a quel punto del match con la lingua penzoloni, su Bianchini che magari una passeggiatina in campo se la sarebbe pure potuta fare, su Parisi e la sua scelta di tenere invariato il posto 2.
Come è valso (all'opposto) per quei 2 minuti e mezzo che ci hanno portato allo scudetto 2012, il pollice alto è virato pericolosamente verso sud a causa di una manciata di azioni, tutte decisive. Perchè è inutile prendersi per i fondelli: se una di quelle quattro palle avesse toccato il quadratone rosa sponda Pomì, a quest'ora si parlerebbe di un grande recupero, di vecchio cuore biancorosso, di giocatrici senza macchia e senza paura che se la sono giocata fino in fondo. E probabilmente a mancare è stata la componente che, più di tutte, avrebbe dovuto annichilire proprio quella macchia e quella paura, alla faccia di tatticismi e tecnicismi.


...Ops, stavo parlando di cosa è mancato e ho scritto "quattro palle"? Lapsus freudiano, tanto per restare in tema psicologico...

Va beh, poco male: si è dimostrato un turno di coppa Italia pressochè inutile per la nostra qualificazione ai quarti, a meno che non si riesca nella mission impossbile di arrivare terzultimi alla fine del girone di andata.
Ohi ohi, tanto male: vincere la doppia sfida sarebbe stato un boost morale utile anche a mettere paura alle avversarie di prima fascia. Ora siamo noi, in campo e fuori, ad essere timorosi di pressochè chiunque. E meno male che con Forlì si è già giocato...


C'è anche un episodio fuori campo che meriterebbe di essere analizzato, ed è quello dell'abbandono di parecchi alla fine del famigerato quarto set. Ieri m'è capitata a poca distanza una coppia sulla trentina, pur trepidante ma assolutamente pacata per tutto il match. Durante la transumanza del secondo anello, il lui del duo si è scatenato: applausi ironici verso chi prendeva la via dell'uscita, frasi pepate ad indicare lo scarso attaccamento al vessillo biancorosso.
Il mio primo pensiero: "Bravo ragazzetto, digliene quattro! Hai tutto il mio appoggio!".
Ovviamente, a sostegno del consistente filo logico che lega le sinapsi del mio cervello, la seconda conclusione è stata "Certo, però... Con nulla in palio, a questi qua chi glielo fa fare di restare?".
Bipolarismo is running wild. E in questo caso è proprio il gioco della pallavolo che bastardamente ti porta sulla via del disturbo mentale, accompagnandoti pure con la manina: non mi sembra che altri sport sfruttino la differenza set su sfide di andata e ritorno, rendendo a volte inutile un pezzo di sfida che però va comunque disputata (e con questo non sto dicendo che le regole Cev in vigore fino allo scorso anno fossero cosa buona e giusta, ANZI!). Onestamente: io non ho mai pensato di andare via, anche solo per una certa morbosa curiosità nel vedere il piglio che avrebbe messo la mia squadra nel tie break di cartone (in cui devo dire di aver molto apprezzato Garzaro, poi spero che in un futuro prossimo si ricordi che le partite iniziano dal primo set). Però, altrettanto onestamente: se andaste al cinema a vedere un thriller-poliziesco dove il cattivone iperpubblicizzato nei trailer viene debellato a metà pellicola e i protagonisti se ne stanno poi a bighellonare tra loro senza un reale perché, non vi verrebbe la voglia di alzare le chiappe e farvi una bella cioccolata calda al bar di fronte?

Sì. O forse no. Dottori, dov'è il mio litio?

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